Le Emozioni inespresse.

Sigmund Freud diceva: “Le emozioni che non vengono espresse non muoiono mai. Sono sepolte vive ed in futuro riemergono nelle forme peggiori.” Questa frase sintetizza in modo eccellente quanto, per noi esseri umani, possa essere dannoso trattenere le emozioni che nel corso della vita viviamo. Il mio non vuole essere un giudizio verso chi tende a non “esprimersi emotivamente” ma più un monito a porre l’attenzione su comportamenti che possono risultare dannosi per la nostra salute psico-fisica.
Tutte le Emozioni hanno stessa dignità di esistere, sono come i diritti umani e come tali vanno tutelate ed autorizzate ad essere vissute.
Se ci sono è perché un evento o un’interazione relazionale le hanno generate.
Hanno una intensità. Possono essere piacevoli o spiacevoli.
Hanno una durata temporale, alcune sembrano durare poco mentre altre appaiono interminabili, specialmente quelle che hanno una connotazione negativa. È stato scientificamente dimostrato che la paura ci induce a commettere degli errori di stima rispetto al trascorrere del tempo.
Nella mia pratica clinica è abbastanza comune trovare persone che hanno difficoltà nel riconoscere le proprie emozioni; in questi casi intervengo con quella che viene definita “Alfabetizzazione Emotiva”. Solitamente suggerisco di comprare un libro sulle emozioni per bambini come primo aiuto per conoscerle ed identificarle.
Incontro spesso anche un’altra parte di individui il cui timore è quello di esprimere il proprio sentire pensando che questo possa ritorcersi contro di loro. Alcuni hanno la convinzione negativa che mostrare le proprie emozioni possa farli apparire come deboli e vulnerabili; altri sono convinti che l’altro possa comprendere come si sentono senza che le loro emozioni vengano espresse. In queste due situazioni si va a rintracciare le prime esperienze relazioni-affettive che sono state generatrici di convinzioni negative rispetto all’esprimersi emotivamente.
La comunità scientifica è concorde nel sostenere che la prima esperienza affettiva che va a condizionare il nostro sentire, la nostra sicurezza e la vulnerabilità rispetto ad alcune problematiche emotive è il legame d’attaccamento con le figure di riferimento o “care giver”. Affronteremo però questo argomento con un articolo specifico onde evitare distorsioni o generalizzazioni.
È chiaro come la difficoltà nel riconoscere le emozioni e la paura di esprimerle possono far parte di uno stesso continuum ed è proprio su questa linea immaginaria che si va ad intervenire con il viaggio psicoterapico. Ci possono essere delle emozioni intense, che creano uno shock talmente forte che vanno a bloccare il nostro sistema di elaborazione e di digestione dell’evento scatenante. Mi piace pensare che abbiamo tutto il necessario per affrontare le diverse situazioni che ci si presentano e soprattutto non è detto che debbano essere affrontate nell’immediato. A volte è necessario del tempo per fare in modo che tutto il nostro sistema emotivo, cognitivo e corporeo si prepari e si stabilizzi per riuscire ad affrontare queste emozioni consapevolmente in un secondo momento.
Di certo si può imparare a comunicare in modo assertivo, dando spazio a quello che sentiamo senza necessariamente accusare l’atro. “In questo momento mi sento triste perché……”, “Sono arrabbiato perché…...”. Ricordiamoci che iniziare una discussione con “Perché tu sei ……” è il miglior modo per non essere ascoltati, per non dare luce e spazio alle proprie emozioni e non essere visti. Il “tu” utilizzato all’inizio di una frase è sempre avvolto da un tono accusatorio e mette l’altro nella posizione di doversi difendere. Esercitare e sviluppare quella che viene definita “Intelligenza Emotiva”, cioè la capacita di esprimere e riconoscere le emozioni altrui, non è solo un modo modo per renderci delle persone migliori ma può anche risultare uno strumento di vitale importanza per districarci nel complicato mondo del lavoro.